Per impazzire mi basterebbe così poco
che non concludo niente guardando in faccia l’infinito,
sgretolato,
spezzato,
sazio ancor prima di mangiarmi.
Non ho mai considerato niente come casa,
sento dentro l’avvicinarsi delle idee.
Muoio forse come entità,
un passaggio inevitabilmente buio.
Credo nell’amore come stadio naturale.
Basta poco per credersi morti,
specchi si scollano dalle pareti,
pace e instabilità sembrano andare a braccetto;
la difficoltà è raggiungibile con successo.
Ecco ora si schianta e poi sale,
dentro come fuori niente di fermo,
il continuo muoversi delle immagini.
Straziante il grido dell’universo
mi arriva in faccia la sua carezza
e piccoli pezzi di me se ne vanno nell’eternità dei versi.
Arte dappertutto,
quanta dannazione c’è sotto,
quanta ruggine si è depositata.
Il magico momento si accende,
lasciami uscire urla
ed eccolo lo spettacolo che si traveste di umanità
una febbre trascendentale,
un mistico tremore che sviene davanti ad una penna,
un semplice scarto di materia inesistente
sgozza il futuro sentendosi innocente,
giocando una carta che porta a casa il piatto.
Che importa! Ti sussurri all’orecchio.
Scene inusuali e fittizie,
si scavalcano ad ogni battere di ciglia,
una fragranza conosciuta.
Queste leggi sono insufficienti per convincermi,
resto fermo nella mia mente
scorgendo il paesaggio che nessuno mi ha mai narrato.
In quei meandri semi oscuri
ho visto quella luce che può solo risplendere
se si sceglie di guardarla nel pieno dei suoi tristi
bellissimi
amorevoli occhi.