L’anima e il gesto
– Giorgio Segato (2006)
Non ha ancora vent’anni. Autodidatta. Il padre pittore. Un temperamento vivace, ansioso di emergere, di affermare la propria individualità; desideroso di raccontare, di raccontarsi, superando la naturale ritrosia dell’età e della mancanza di studi artistici.“Ho appreso a dipingere da mio padre”. E allora penso che avrebbe dovuto essere suo padre a scrivere del figlio e a presentarlo in mostra, così da recidere definitivamente eventuali legami di dipendenza stilistica e psicologica e lasciarlo libero di ‘spremere’ nella pittura i caldi umori, le urgenze, le rabbie e le paure, che lo sollecitano verso il linguaggio e il gesto della pittura. Avverto così forti le sue aspettative che lo lascio spiegarsi senza dire nulla al proposito, né in relazione alle immagini incandescenti che esplodono dai suoi book. Come lava di incontenibile affabulazione. Lo si avverte subito nei rossi infuocati che dominano le atmosfere elettrizzate dei suoi racconti simbolici (spesso con titoli devianti, che slittano dal piano fisico alla dimensione psichica), dai graffi che ridisegnano sul colore, irritando la tela o le carte, come incisioni su carne viva, animando visioni paesistiche di sogno (Mezza vita. Simultaneità degli equilibri), ora desolate lande, ora rigogliosi trionfi della natura nella quale tornare a sentirsi immerso.
Ogni veduta riporta Giacomo all’emozione, alla nostalgia panica, al sentimento della condizione esistenziale che gli urge dentro come un basso continuo di emergenze psichiche dal profondo [amore, ansia di libertà, fuga, viaggio fisico e conoscitivo, corporeità) che ha imparato a esprimere immediatamente, nel gesto rapido di una pittura che non soffre la sistemazione e la quiete espressiva di una sintassi precisa,perché sgorga spontanea dallo slancio interiore, dall’anima, dalla passione, dalle inquietudini, dai turbamenti, dai nodi psicologici irrisolti e forse irrisolvibili (se non nella diluizione temporale di un’attesa che i giovani non accettano, non sopportano) e dal desiderio di spontaneità e genuinità come manifestarsi di continuità tra interno ed esterno, tra psichico e fìsico, tra lo spazio delle emozioni e dei pensieri e lo spazio del quadro come disvelamento, racconto personale nei movimenti del colore e del segno, nelle tensioni del gesto.
Dalle urgenze umorali di superficie come accensioni del cuore e della mente proiettate su figure in parte di risonanza naive, in parte di istintiva Art Brut, e con la libertà impulsiva dell’espressionismo dei Nuovi Selvaggi, sta già trascorrendo a una visionarietà più liberata dall’aneddotica autobiografica, e insieme più complessa, più densa di significati emblematici e poetici, in cui il riferimento iconografico risulta meno insistito, meno ‘duro’, meno forzato e graffiante, e, invece, più immerso nell’amalgama di cromie modulate in profondità, anche prospettica (Fuga dalla libertà, L’uomo senza qualità, Viaggio al termine della notte), così che sull’intenzione chiaramente espressionista del giovanissimo autore sembra prevalere un più espanso tempo riflessivo, contemplativo, e sul dato segnico e di descrizione narrativa imporsi un ritmo più propriamente pittorico, affidato a un fiorire del colore come evento in certo senso lirico, per campiture d’atmosfera e brevi tocchi di deposito armonioso.
I progressi sono sicuramente sensibili e promettenti, soprattutto in considerazione dell’età e della tensione con cui si applica alla pittura, alla sperimentazione delle tecniche, così come all’esplorazione e verifica dei contenuti da comunicare, in una costante disponibilità allo studio, guardando alla storia dell’arte e anche citando qua e là i grandi maestri, e infine con una disarmante capacità di cogliere il dettato delle voci di dentro e di tradurlo nel linguaggio che sì affida alla magia del segno e del colore, sempre più e meglio controllando le inquietudini per uscire dall’occasìonalità espressiva e confermare una precisa professionalità di esperienza, di ricerca e di comunicazione.